lunedì 9 settembre 2013

RECENSIONE: L'accalappiastreghe

Titolo: L'accalappiastreghe
Autore: Walter Moers
Pagine: 413
Prezzo: € 16,80
Editore: Salani
Genere: Fantasy per ragazzi
Scheda su Anobii: qui

Trama: Malfrosto venne sempre più vicino, si fermò infine davanti al cratto, si chinò su di lui e l'osservò, a lungo e spietatamente. Il vento gli faceva fremere l'ossuto collare e gli occhi scintillarono di scoperta e maligna soddisfazione di fronte alle evidenti sofferenze d'una creatura in procinto di tirare il calzino. Il puzzo di ammoniaca e etere, di zolfo e petrolio, di acido prussico e essenza cadaverica penetrò come un fascio d'aghi affilati nel sensibile nasino di Eco, ma lui non si spostò d'un dito. "Mi fa la carità, signor accalappiastreghe municipale?" gnaulò miserevolmente. "Ho una fame tremenda". Lo sguardo di Malfrosto s'accese di lampi ancor più demoniaci, e un largo ghigno gli comparve sulla facciaccia pallida. Sfoderò l'indice lungo e secco per solleticare le costole sporgenti di Eco. "Sai parlare?" domandò. "Dunque non sei un gatto qualunque, ma un crattino. Uno degli ultimi esemplari della tua specie". Gli occhi di Malfrosto si strinsero quasi impercettibilmente. "Che ne diresti di vendermi il tuo grasso?" Età di lettura: da 12 anni.

Note sull'autore: Walter Moers (Mönchengladbach, 24 maggio 1957) è uno scrittore, sceneggiatore e fumettista tedesco. Autore di romanzi per ragazzi, vive ad Amburgo avvolto nel mistero. Moers acquistò una prima notorietà in Germania con il fumetto Adolf. Il successo internazionale venne con i romanzi fantasy della serie di Zamonia, il primo libro è stato Le 13 vite e mezzo del capitano Orso Blu che ha riscosso molto successo, seguito da Ensel e Krete, Rumo e i prodigi nell'oscurità, La città dei libri sognanti, Il labirinto dei libri sognanti e L'accalappiastreghe.

La mia opinione:
L'accalappiastreghe è un libro per me di difficile classificazione, narrativa per ragazzi? Fantasy? Favola? Narrativa per ragazzi, ma è piacevole da leggersi anche per gli adulti. Un fantasy in cui la fantasia la fa veramente da padrona, ma forse in alcuni tratti un po' troppo roboante (sono stata costretta a saltare frasi e pezzi pieni di cose totalmente inventate e non ben specificate che non mi dicevano nulla, non riuscendo a immaginarmele). Una favola classica, come lo stile infatti il romanzo è scritto in terza persona con narratore onnisciente (cosa che mi ha reso difficile l'immedesimarmi nei protagonisti e patire per loro), ma allo stesso tempo innovativo rispetto a ciò che si vede oggi giorno. Di orrore sinceramente ci ho visto poco o nulla, visto che il romanzo è stato classificato anche così, ma al mio avviso erroneamente (forse può incutere timore solo a un pubblico giovanissimo).

Definita dallo stesso autore: "Favola culinaria zamonica di Gofid Letterkel, ripoetata da Ildefonso de' Sventramitis, tradotta dallo zamonko e illustrata da Walter Moers." L'autore finge in questo caso di esserne solo il traduttore e l'illustratore, non se ne capisce bene il motivo forse per incuriosire i giovani lettori. Le illustrazioni in bianco e nero devo dire sono fatte bene e in alcuni casi mi hanno aiutato a figurarmi le strambe creature protagoniste delle vicende. I temi portanti della vicenda sono appunto l'ambito culinario, l'alchimia, l'ambito medico, streghe un po' particolari e un gatto, un bel mix. Una cosa mi ha dato fastidio: l'uso delle note, in sè e per sè utili nella finzione dell'esserne solo il traduttore e no lo scrittore, però veramente di cattivo gusto quando invece di descrivere una creatura mi mette la notta con scritto "Si veda libro x o libro y di Moers" un astuto modo di vendere altri dei suoi romanzi.

«Ciò che è morto ricominci:
punti perdi giochi vinci.
Si sollevi ciò che è stato
nella broda ben lessato.
Schizzi su e venga via
per l'onor dell'alchimia!»
Il protagonista della nostra favola è Eco, un gatto o meglio un cratto, poiché a differenza dei normali gatti egli è in grado di parlare e conosce tutte le lingue (anche quelle degli animali). Vive a Sledwaya, una città di Zamonia, il mondo creato da Moers. Ogni città di Zamonia ha una sua peculiare caratteristica, in questo caso Sledwaya è la città dei malati, è piena di dottori di ogni tipo, farmacie, ospedali e qualsiasi si voglia elemento analogo. Non proprio un luogo allegro dove andare a vivere.

Figuratevi la località più malata di tutta Zamonia! Una piccola città dalle strade storte e dalle case sbilenche sulle quali incombeva, in cima a un'oscura rupe, un orrido maniero nero. In cui imperversavano i batteri più rari e le malattie più strane: la tosse cerebrale e il reumatismo del fegato, il singhiozzo di stomaco e il raffreddore intestinale, il rintrono delle orecchie e lo sfilacciamento nervoso.

Eco è disperato per via della morte della sua padroncina, si ritrova a vagabondare per le strade della città e a non aver di cui mangiare. Nella disperazione (sta per morire di fame) accetta un contratto con Malfrosto (la storia del contratto mi ricorda un altro libro simile che ho letto, vi ricordate Il castello errante di Howl?), l'accalappiastreghe della città, una sorta di tiranno che tutti temono e nessuno ha il coraggio di contraddire. Il contratto prevede che per un mese il piccolo gatto possa sfamarsi a sazietà nel castello del tiranno, ma dopo un mese, alla luna piena (chiamata luna shokkia) dovrà accettare di farsi accoppare per prelevare il grasso (che da lì a un mese si sarà formato nel suo corpo). Ed Eco accetta, sperando di potersela poi svignare in qualche modo.

Alcuni hanno definito questa storia di Moers come la rivisitazione della favola classica di Hansel e Gretel, due ragazzini costretti dalla strega a ingozzarsi di cibo fino al momento in cui fossero stati pronti per essere cucinati, solo che i due trovano un modo per scappare. E in fondo le vicende un po' si somigliano in tal senso.

Per buona parte del romanzo non succede nulla, semplicemente un gatto che va in giro per il castello del cattivone e che si rimpizza di cibo (cibo tutto strambo cucinato dallo stesso Malfrosto, abilissimo nelle arti culinarie) e quando non mangia dorme. Quindi all'inizio mi sono un po' annoiata, non mi ha entusiasmato più di tanto. Alcuni sostengono che il romanzo non sia uno dei migliori di Moers, io avendo letto solo questo non posso fare il paragone.

Poi a un certo punto le cose cambiano, Eco finalmente si rende conto di starci per rimettere le penne (anche se lui di penne non ne ha xD) e così si dà una mossa (prova a scappare ma non ci riesce, decide di mettersi a dieta) e cerca un modo per rompere il contratto. Di qui in poi ne succederanno veramente di tutti i colori, una dietro l'altra, a iniziare dall'arrivo in scena di una strega l'ultima rimasta a Sledwaya, Izanuela, che mi è stata subito molto simpatica. L'accalappiastreghe per potersi dedicare all'alchimia ha redatto delle regole severissime per le streghe della città, per cui quasi tutte hanno deciso di andarsene, tranne una. Per lo stesso motivo, per non essere disturbato dagli abitanti della città, li impesta grazie ai suoi Pellestrelli (un incrocio tra un topo e un pipistrello) di tutti i virus possibili. Esseri, i pellestrelli, dalla filosofia di vita particolare.

«Sotto è sopra, e brutto è bello».
Motto dei pellestrelli

L'autore sembra essere veramente un amante dei gatti, anche se in questo caso cratti, poiché li descrive perfettamente e li esalta a differenza di altri tipi di animali domestici come possono essere i cani (che qui fanno solo la parte dei cattivi, brutti ceffi che inseguono in alcune scene Eco per suonargliele). In particolare ho trovato esagerato questo pezzo, in cui l'autore sembra volerci convincere delle sue idee. Gli amanti dei cani potrebbero avere di che ridire, mentre magari quelli dei gatti possono esserne d'accordo.

Anche Malfrosto cominciò, dopo un po', a guardare Eco con occhi diversi. Constatò ben presto anche lui come un cratto eserciti sul padrone un effetto molto più sottile e insinuante degli altri animali domestici. Il cane ubbidisce a tutti gli ordini e sorveglia la casa, i canarini rallegrano con il loro canto. Il cratto invece sembra non fare altro che rendere contento il prossimo con la sua presenza e lasciarsi rimpinzare. Accanto a un cane forte e fedele ci si può sentire contemporaneamente potenti e sicuri; da un cratto invece è già tanto essere tollerati con compiacenza. Il cane si umilia davanti al padrone, lo adora, si lascia mettere il guinzaglio e addestrare. Consente perfino che lo si bastoni, anche quando certe botte potrebbero farlo a pezzi. Un cane lo si può cacciare in un angolo a pedate, sicuri che dopo un paio d'ore se ne sarà dimenticato, pronto a portarti di nuovo le pantofole. Un cratto invece è capace di trattarti per intere giornate dall'alto in basso solo perché per sbaglio gli si è pestata la coda. Di un cratto non si ha paura, ma rispetto. Di un cane si può aver paura, ma non stima. Se Malfrosto gli avesse gettato un pezzo di legno perché andasse a riprenderglielo, Eco lo avrebbe guardato con commiserazione, come se avesse perso la ragione, e se ne sarebbe andato maestosamente, scuotendo la testa.

E vi risparmio il resto, perchè l'autore va avanti così per un altro po'. Insomma il gatto è l'animale domestico perfetto da possedere, ma questo non scalfisce in nessuna maniera l'animo di Malfrosto che per tutto il romanzo rimarrà tale e quale. Mi sarei aspettata un cambiamento, un piccolo miglioramento e invece nulla. Non c'è una vera e propria evoluzione dei personaggi, solo Eco sembra leggermente prendere coscienza di sé, decidendo di non voler morire e di voler continuare la sua esistenza alla ricerca dell'amore. Non c'è neanche una vera e propria morale alla base della storia (a parte i danni che può provocare un amore non corrisposto) o almeno io non l'ho trovata. E l'elemento ironico nella prima parte de romanzo non mi ha entusiasmato più di tanto, mentre diventa più spiccato continuando.

Come in quest'esempio, in cui la nostra ultima strega Izanuela si dichiara fiera caseariana, una parodia dei vegetariani? O magari della nuova moda dei vegani?

«Il formaggio non puzza!» affermò Izanuela. «Profuma. E non è affatto un alimento incompleto. Anzi, forse è il cibo più completo che esiste. Sai quante specie di formaggi ci sono a Zamonia?»
«No».
«Nemmeno io. Sono così tanti che nessuno li può ricordare tutti. E ne fanno di nuovi ogni giorno. Io non mangio che formaggio».
«Dici sul serio?»
La shockkia annuì, fiera. «Sono una caseariana convinta. Noi caseariani siamo certi che il formaggio contiene tutte le sostanze nutritive essenziali. Grasso, sale, calcio… Che vuoi di più?»
Izanuela si pavoneggiò davanti a Eco. «Guarda me! È da una vita che mi attengo a una rigorosa dieta a base di formaggi. La mia linea ti dà l'impressione che possa avermi in qualche modo nuociuto?»
Eco dovette mordersi la lingua per trattenere un'osservazione che avrebbe potuto compromettere la fresca amicizia.
«Non mangi carne?» domandò invece. «O pesce? Verdura? Frutta?»
«Non riuscirei mai e poi mai a mangiare animali» dichiarò Izanuela e fu scossa da un brivido violento. «E come potrei io, insignita del Pollice Verde, nutrirmi di vegetali? Sono esseri pensanti e sensibili come te e me!»


All'interno del romanzo ci sono alcune piccole storie, racconti dentro il racconto, questa cosa mi è piaciuta, però devo dire che di alcune non se ne capisce veramente il motivo per cui vengono narrate dai protagonisti, o come vi dicevo forse non sono riuscita a coglierlo io.

Tutte le storie di Zamonia non hanno il lieto fine, o almeno così sostiene Malfrosto, quando racconta la storia di un demone rinchiuso in una bottiglia (storia trita e ritrita con finale ad effetto, ma un po' sbrigativo). L'autore sembra voler per forza rimarcare il fatto che in questo caso non ci troviamo di fronte a classiche favolette per bambini e non tutto finisce bene.

«Che ci vuoi farei Le storie zamoniche son fatte così. Finiscono tutte tradizionalmente male. Tu che pensavi Che il bene trionfasse sul male, il piccolo sul grande, il grazioso sul brutto! No, carino, questa non è una favoletta della buona notte».

Ok, ci siamo, solo che dopo poche righe si contraddice da solo:

«Ti ho salvato la pelle, mio giovane amico. Il lieto fine delle pericolose avventure sarà anche una caratteristica tipica della letteratura zamonica popolare… ma a chi piace leggere soltanto tradegie?» (L'errore è voluto, perchè il personaggio in questo caso un uccellaccio con un solo occhio parla proprio così per tutto il tempo)

Le tragedie non piacciono al lettore, al lettore non piace leggere che il proprio protagonista per cui ha patito per tutta la durata del libro crepi in maniera misera (però l'autore fa fare questa fine ad altri personaggi all'interno del romanzo e la cosa mi ha dato un po' fastidio) e infatti Eco, rischierà più volte di rimetterci le ossa, ma si salverà sempre in un modo o nell'altro. Il romanzo lo definirei le peripezie di un gatto parlante in un mondo di pazzi. L'unico sano di cervello sembra essere solo Eco.

Però alla fine non posso dire che non mi sia piaciuto, il romanzo lascia il segno, si fa ricordare ed è piacevole da leggere (forse in alcuni punti un po' pesante, ma basta andare avanti). Lo consiglierei a tutti gli amanti dei gatti e agli amanti delle cose un po' strambe. Tutta la trama si può riassumere in questa citazione, che però a chi non ha letto il libro non dice niente. Cosa sarà mai un fantasma cotto? Le candele addolorate? I demoni mummificati? L'inchiostro d'ombra, i pasti metamorfici o la vedova candida? Se volte saperlo, leggete il libro.

Nessuno badava più di tanto al crattino che correva fra le loro gambe. Gli abitanti di Sledwaya non sapevano assolutamente niente d'un contratto, di grasso bollito e di fantasmi cotti, di prima zateria e del più grande tesoro di Zamonia. Non sapevano nemmeno cosa fossero le candele addolorate e i demoni mummificati, né avevano mai assaggiato il frutto dell'albero della conoscenza. Ignoravano l'esistenza dell'inchiostro d'ombra e dei pasti metamorfici. Né avevano mai sentito parlare d'una vedova candida.

Quando l'ho iniziato mi sarei aspettata tutt'altro, devo dire la verità, soprattutto per via del titolo, immaginavo più azione, avventure (si ce ne sono, ma per quanto ne può vivere un gatto all'interno di un castello). L'autore però furbo ha chiamato il romanzo proprio L'accalappiastreghe, per accalappiare i lettori, come dice:

Confesso volentieri d'averla chiamata L'accalappiastreghe anche pensando alla commerciabilità del prodotto… chi mai acquisterebbe oggi un libro che parli di un innocuo Grattino? Un accalappiastreghe invece promette fin da subito eventi misteriosi, alchimie avventurose e orrore da far rizzare i capelli. Ammettetelo dunque senza paura se avete preso il libro in mano solo per via del titolo! E non vergognatevi di non aver in precedenza neppur sfiorato un'opera che pure trasuda unza da tutti i pori perché il titolo non vi era apparso abbastanza avvincente!

E ho faticato a calarmi nello stille dell'autore, quasi a volersene giustificare a fine libro l'autore scrive:

Diciamo pure le cose come stanno: Gofid Letterkel è probabilmente il classico della letteratura zamonica. Raggiunse la sua maggior popolarità centinaia di anni or sono, tuttavia il suo stile era considerato fin dai tempi in cui era ancora in vita (sia detto con tutta la prudenza del caso e con assoluto rispetto) indigesto quanto un armadio. Bisognava abituarcisi, esattamente come alla musica eseguita con le trombùccine. È uno stile che, personalmente, mi ha sempre mandato in estasi perché vi si coglie l'unza pura. Nel caso tuttavia del moderno pubblico di lettori, e in particolare dei giovani, posso figurarmi che l'eccentricità linguistica del Letterkel sia semmai tale da respingerli e da sospingerli fra le braccia di certi autori dozzinali di cui preferisco non menzionare neppure i nomi… Basti pensare ai romanzetti sul principe Sanguegelido.

Io l'ho trovato un po' un insulto, non è che il suo stile se non lo si capisce o si preferisce leggere altro si è scemi e neanche mi vanterei molto di definirlo "indigesto quanto un armadio". E' uno stile punto, il mondo è bello perchè è vario! Per Sanguegelido si riferirà alle storie sui vampiri? Boh. Naturalmente è tutta ironia, lo so, ma sotto sotto se l'ha scritto lo penserà pure.

E purtroppo ci sono fin troppi lettori oggi con questa puzza sotto il naso del tipo "No io non leggerei mai quel romanzo, è troppo da bimbiminchia, o è troppo stupido per i miei livelli", ora vi dirò come la penso: Non è un libro, un programma in tv, un film ecc che mi farà diventare stupida se non lo sono. Ho raggiunto una certa maturità, ho quasi trentanni (il prossimo anno), una famiglia, una figlia, anche se leggessi il peggior libro di questo mondo non cambierebbe la mia visione della vita o il mio modo di essere (cosa che potrebbe forse accadere con un pubblico più giovane e maggiormente influenzabile). E poi come si fa a dire che fa schifo una cosa se prima non la si legge? Si potrebbe sempre cambiare idea, solo gli stolti rimangono fermi nelle proprie convinzioni e io non mi sento tale, tante volte ho giudicato superficialmente un romanzo, un film o quello che era per poi ricredermi (o magari mi è successo il contrario, pensavo fosse un capolavoro e invece non lo era). Sta storia "del troppo commerciale per i miei gusti" io proprio non la capisco.

E voi cosa ne pensate? Non della puzza sotto il naso, ma del romanzo. Qualcuno di voi l'ha letto o ha letto altro di Moers? Fatecelo sapere attraverso i commenti.

Alla prossima Angela
Club Urban Fantasy

1 commento:

  1. Avevo letto questo libro qualche anno fa e ora ho appena terminato di rileggerlo. A mio parere per essere apprezzato meglio deve essere letto dopo La città dei libri sognanti, che parla delle avventure di Ildefonso de' Sventramitis, narratore fittizio dell'Accalappiastreghe; infatti, i riferimenti tra le due opere sono molto stretti, andando ben oltre le note esplicite. Inoltre, la lettura dei libri di Moers deve essere accompagnata, secondo me, dalla consapevolezza dell'esistenza di una sorta di filo ironico che congiunge il lettore e l'autore: questi scherza con il primo con un umorismo molto esplicito. L'effetto straniante del non immedesimarsi con i personaggi, evidentemente assurdi e surreali e spesso statici e bidimensionali, secondo me potrebbe essere voluto proprio per determinare un distacco ronico fra il mondo dell'autore, quindi il nostro, e l'immaginaria Zamonia. Comunque, grazie per la recensione, che, seppur scritta qualche anno fa, mi ha permesso di leggere un altro parere su quest'opera che purtroppo non è molto conosciuta.

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